martedì 22 novembre 2011

A chi serve Google Music?

Contenuti esclusivi, grande passione per la musica, integrazione con Android, ma per il momento non può ancora competere con iTunes e Spotify. Da Daily Wired.


A chi serve un altro store musicale digitale, in un panorama dominato da iTunes eSpotify? Apparentemente a nessuno. Apparentemente. Perché se a lanciare lo store è Google... Google Music, con la presentazione di ieri sera, è uscito dalla beta e ha definito la sua offerta e il suo target. Un servizio che serve soprattutto a Google stessa e agli utenti Android, che non sono certo pochi.

Google Music colma un vuoto, enorme, in un’offerta di servizi così varia come quella del colosso californiano. Un vuoto tanto più grande se si pensa il ruolo di traino che la musica ha avuto nell’innovazione digitale. Perché questo ha voluto fare Google con Music: completare il proprioecosistema. Anche perché, secondo gli ultimi dati della Ifpi, il mercato digitale è cresciuto nel 2010 del 6 per cento, con ricavi per 42 miliardi di dollari - un aumento del 1000 per cento, se si considerano gli ultimi 6 anni. Chi ha un account Google (chi non ce l’ha?) potrà usarlo per mettere la propria musica sulla nuvola, ascoltarla da remoto, scoprirne di nuova, comprarla, condividerla. Più o meno le stesse cose che offre l’ecosistema musicale Apple, condivisione a parte - che è notoriamente il tallone di Achille di iTunes. Però gli utenti Android non possono e non potranno accedere ad iTunes Match e i loro telefoni non possono dialogare con iTunes. Ma con la nuova applicazione mobile, che completa il servizio, il sistema musicale di Google sarà autosufficiente e perfettamente integrato.

Twitter, gli hashtag e l’Intelligenza collettiva

A rendere così importante Twitter è l’hashtag, che permette di seguire e indicizzare facilmente ogni discussione, rendendo l'insieme dei contenuti un reticolo dotato di senso. Da Ninjamarketing.it



Twitter sta diventando sempre più centro nevralgico del dibattito sul web. Per certi versi, più di Facebook. Vuoi per la sua natura centrifuga (come sottolineato in un’intervista molto interessante dal collettivo WuMing) vuoi per il fatto che grazie agli hashtag è possibile indicizzare le discussioni.

Nel 2010, ci racconta Laura Larsell nel post “How Hashtagging the Web Could Improve Our Collective Intelligence” la biblioteca del Congresso Americano ha cominciato ad archiviare letteralmente i contenuti prodotti sul sito di microblogging, con la consapevolezza che un giorno tutta questa mole di dati sarebbe stata utile.

Per cosa? Per comprendere se l’interazione prodotta nel mare di trending topic, tweet, menzioni e retweet formasse non un magma senza forma ma una vera e propria struttura intellettiva, quasi una rete formalizzata di pensieri e tendenze.

Un insieme formato da freddure, concetti e citazioni che restituisce di fatto la fotografia di un pianeta in evoluzione.

I tablet cambiano l'esperienza di navigazione

Con i tablet i libri e gli articoli di approfondimento rinascono a nuova vita mentre gli smartphone si dovranno ritagliare un ruolo di puro device applicativo o di servizio in cui il contenuto è minimo. Da La Stampa.



Mentre il Kindle Fire di Amazon fa tanto parlare di sé nei giorni del suo rilascio negli Usa, viene resa nota una ricerca che fa comprendere come i tablet stiano cambiando la fruizione dei contenuti web.

Ooyala, fornitore di servizi video per molti fornitori di contenuti americani, ha realizzato una ricerca incrociando i dati legati alla visualizzazione dei video di una considerevole base di 100 milioni di utenti unici al mese in più di cento paesi.

La sintesi della ricerca sostiene che chi utilizza un tablet vede circa il 30% in più di minuti video rispetto a un utilizzatore di Pc. In particolare, a ogni minuto di filmato visto su Pc corrisponde un minuto e 17 secondi visto su tablet e il totale dei video conclusi su tablet supera del 30% quello dei corrispondenti visualizzati su Pc.

Equivalentemente, i filmati più lunghi si preferisce vederli su tablet, da dispositivi collegati alla Tv o da console di gioco, relegando a Pc, laptop e smartphone la visione di quelli più corti. I video di almeno dieci minuti sono visti dal 30% del campione su smartphone, dal 42% su tablet e dal 75% su dispositivi collegati alla Tv e tramite console di gioco. Il 20% degli utenti “mobili” infine arriva almeno a tre quarti del video mentre il 18% degli utilizzatori di Pc supera questa soglia.

mercoledì 16 novembre 2011

La mia guida è lo smartphone

L'evoluzione della vacanza italiana negli ultimi 10 anni secondo Expedia: proliferano app e social network turistici raggiungibili con il mobile. Destinazioni: Usa e Grecia al top. Da La Repubblica.



Dai depliant dell'agenzia viaggi alla comparazione di offerte online. Dal consiglio di un nativo al suggerimento di un'applicazione mobile geolocalizzata. Dalle partenze intelligenti alle prenotazioni anticipate. Expedia.it ci racconta come sono cambiate le abitudini degli italiani nella prenotazione dei viaggi e come si evolveranno in futuro, quali sono le mete al top e come siamo diventati esperti di mercato valutario.

La macchina del tempo e il SoLoMo. Torniamo indietro di qualche anno. Non servono grossi salti temporali, basta soffermarsi al 2004. Sette anni fa i viaggi online contavano solo per un 3% del mercato totale delle vacanze in Italia: tale percentuale si è triplicata nel 2006, arrivando oggi fino ad oltre il 20%. Una crescita guidata dalle giovani generazioni e adesso anche dalla passione per gli smartphone. Infatti, secondo i dati Comscore 2010 Mobile Year, l'Italia è ai primi posti in Europa per penetrazione di smartphone e, con oltre 16,7 milioni di abbonati, è seconda solo alla Spagna. Proprio il mobile è la nuova frontiera dei viaggi online. Per questo negli ultimi anni c'è stato un proliferare di applicazioni e social network correlate al turismo, da Foursquare a Gowalla, da Expedia Hotel alla recentissima app del Touring Club: è l'era del SoLoMo, ovvero l'unione di Sociale, Locale e Mobile. Il turista mobile vuole essere aggiornato immediatamente in qualunque angolo del mondo si trovi e vuole ottenere suggerimenti basati sulla propria localizzazione.

Google e Poste mettono online 27 mila Pmi

Nei suoi primi sei mesi di vita, "La Mia Impresa Online.it" ha raccolto adesioni in tutta Italia, con valori abbastanza uniformi nelle diverse aree geografiche. Da La Repubblica.



La carica delle piccole ricomincia dall’economia digitale. Sono 27 mila le piccole e medie imprese italiane che, a sei mesi dal lancio di "La Mia Impresa Online.it", il progetto congiunto di Google, Seat Pagine Gialle, Register.it e Poste Italiane hanno già registrato il proprio dominio Web e fatto il loro debutto in rete. Il dato non è da poco, se si considera il basso tasso di penetrazione delle Pmi sul Web. Meno del 25% delle piccole imprese italiane ha un sito, percentuale che scende al 20% se prendiamo in considerazione le realtà con meno di dieci dipendenti. Quest’ultime, quelle che per resistenza culturale e uno sviluppo della banda larga ancora in apnea, sono proprio il target de "La Mia Impresa Online". Come è il caso del parrucchiere di Padova, che, sbarcando sulla rete, ha messo a punto un sistema efficiente di prenotazioni; dell’idraulico torinese che in rete riceve richieste di preventivi o l’azienda di riparazione di Modena che ha aumentato del 10% il proprio fatturato grazie alle le campagne di Google AdWords, che gli hanno permesso di accrescere numero di clienti e quindi il giro d’affari. 

Rapido, efficace, creativo. Il salto nella rete è una opportunità per le microimprese. E soprattutto una piattaforma flessibile per vendere prodotti e servizi. L’11% delle Pmi che ha aderito al progetto ha attivato una piattaforma di eCommerce; non moltissime, quindi, ma si tratta più del doppio della media nazionale, secondo i dati forniti da Eurisko. E il 25% delle 27 mila online ha avviato una campagna di comunicazione con Google AdWords, il sistema a pagamento che accresce la visibilità sul Web migliorando il posizionamento del proprio dominio sul motore di ricerca. Spiega Alessandro Antiga, direttore Marketing di Google per l’Italia: «Sono tre gli indicatori che ci raccontano lo sbarco sulla rete delle Pmi. Chi l’ha fatto cresce di più, aumenta l’export e assume di più. Questa è la stima di tutti gli studi. In media le Pmi attive in rete hanno infatti registrato una crescita media dell’1,2% dei ricavi negli ultimi tre anni, rispetto a un calo del 4,5% di quelle offline e un’incidenza di vendite all’estero del 15% rispetto al 4% delle offline». Anche perché lo scenario economico di riferimento è sempre più Internetdipendente: il 73% della popolazione italiana tra gli 11 e i 74 anni, stando a dati Audiweb ha ormai un collegamento ad Internet e ogni mese (fonte Netcomm School of Management Politecnico di Milano) oltre 26,2 milioni di persone navigano sul Web, una crescita del 10% rispetto allo scorso anno.