«Le tecnologie fanno risparmiare tempo. Gli utenti hanno molto tempo libero in più, che potranno così utilizzare per guardare più pubblicità». No, non è Silvio Berlusconi a parlare. E nemmeno un creativo pubblicitario. Neanche un top manager di qualche grande centro media, quelli che gestiscono portafogli miliardari di investimenti pubblicitari delle grandi multinazionali del consumo. La frase è di Larry Page, il numero uno di Google, durante uno dei suoi rari interventi pubblici la scorsa settimana durante la ZeitGeist Conference, la mega convention annuale del gigante dei motori di ricerca. Certo, l’ha detta come una battuta; l’ha detta davanti al tipico pubblico di partner di Google, ossia sviluppatori e investitori pubblicitari. Ma non l’ha detta solo per compiacere la platea. Molti altri passaggi del discorso e delle risposte alle domande rivelano che questo è proprio uno dei punti chiave delle sue strategie.
Ma cosa vuol fare questo informatico timido, lontanissimo dal carisma di un Jobs (almeno per ora) ma concretissimo nei suoi obiettivi? Il punto di partenza, lo ha detto da subito, è: «Che fare di Google ora che Google è più grande della General Electrics?».
Se Jobs è un visionario sui prodotti, Page sta dimostrando di esserlo quanto agli obiettivi e all’organizzazione della «sua» creatura. Page è subentrato a sorpresa a Eric Schmidt nel ruolo di ceo lo scorso gennaio. Ma la sorpresa è stata solo fuori da Google. La cosa deve aver avuto una gestazione di almeno un anno. Perché è da allora che Google ha iniziato a cambiare strategia. Basta guardare all’andamento delle sue acquisizioni. Nel 2008, prima della crisi dei mercati, erano una quindicina l’anno. Poi si sono fermate per due anni. Nel 2010 sono state 26, quest’anno, ad oggi sono già 21. Cosa vuol dire? Che Google sta cercando fuori soluzioni pronte invece di aspettare gli sviluppi di quello che cuoce nelle pentole dei suoi Labs.
Ma cosa vuol fare questo informatico timido, lontanissimo dal carisma di un Jobs (almeno per ora) ma concretissimo nei suoi obiettivi? Il punto di partenza, lo ha detto da subito, è: «Che fare di Google ora che Google è più grande della General Electrics?».
Se Jobs è un visionario sui prodotti, Page sta dimostrando di esserlo quanto agli obiettivi e all’organizzazione della «sua» creatura. Page è subentrato a sorpresa a Eric Schmidt nel ruolo di ceo lo scorso gennaio. Ma la sorpresa è stata solo fuori da Google. La cosa deve aver avuto una gestazione di almeno un anno. Perché è da allora che Google ha iniziato a cambiare strategia. Basta guardare all’andamento delle sue acquisizioni. Nel 2008, prima della crisi dei mercati, erano una quindicina l’anno. Poi si sono fermate per due anni. Nel 2010 sono state 26, quest’anno, ad oggi sono già 21. Cosa vuol dire? Che Google sta cercando fuori soluzioni pronte invece di aspettare gli sviluppi di quello che cuoce nelle pentole dei suoi Labs.
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